Uno dei ristoranti giapponesi più famosi di Milano chiude per ristrutturazione. Ma la cucina di Iyo non si ferma del tutto

12 Dic 2023, 12:17 | a cura di
Il ristorante stellato Michelin e premiato con i Tre Mappamondi del Gambero Rosso si rinnova: durante i lavori di ristrutturazione la cucina si trasferisce temporaneamente in un altro spazio, nel quartiere Porta Nuova. L'insegna originaria riaprirà a maggio

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Il ristorante giapponese di Milano Iyo Experience, stellato Michelin e premiato con i Tre Mappamondi del Gambero Rosso, chiude per ristrutturazione. «Il 31 dicembre 2023 finisce un’èra ma ne comincerà subito un'altra», annuncia la proprietà spiegando che il ristorante chiude e riaprirà a maggio dopo un imponente restyling. Ma nel frattempo la cucina non si ferma del tutto: l'insegna si trasferisce in un temporary restaurant in piazza Alvar Aalto, nel quartiere Porta Nuova.

Il nuovo Iyo Experience

Insomma, il cenone di Capodanno sarà l’ultimo servizio di Iyo come lo abbiamo conosciuto sino a oggi. Il ristorante è nato nel 2007 quando un giovanissimo Claudio Liu ha aperto l’allora Iyo Sushi Fusion Experience, poi ampliato nel 2011 e ripensato nel 2016, con una cucina divenuta negli anni sempre più contemporanea. Gli spazi della sede di via Piero della Francesca verranno quindi rivisti: la sala sarà ampliata e verranno creati due laboratori, uno per la lavorazione del pesce e uno di pasticceria, una nuova cucina più ampia, aree che non erano presenti nel precedente locale, come due sale private rispettivamente da 24 e 10 posti.

Il temporary restaurant

Come detto, nel frattempo Iyo Experience si trasferisce nel quartiere Porta Nuova, davanti agli altri due ristoranti del gruppo, Iyo Omakase e Aalto, in un locale con settanta posti a sedere, in cui «si ritroveranno alcuni elementi storici del locale», spiega l'imprenditore Claudio Liu. Il menù, sempre idea dello chef Katsumi Soga e del pastry chef Luca De Santi, proporrà un’ampia selezione dei migliori piatti storici e stagionali del ristorante, più qualche nuova proposta, studiata appositamente per il locale.

Nobuya a Milano, il Giappone come non l'avete mai mangiato. La nostra recensione

27 Gen 2024, 11:43 | a cura di
Il nuovo locale milanese dell'ex chef di Sushi B ridefinisce definitivamente gli standard della cultura gastronomica nipponica in Italia al crocevia tra due culture

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Niimori Nobuya ha la faccia scolpita nella pietra e un sorriso enigmatico che arriva da lontano. Mi ricorda in qualche modo il protagonista del film “Perfect Days” di Wim Wenders, Hirayama, che pulendo i bagni pubblici con scrupolo e passione si eleva a un nuovo grado di serenità e consapevolezza. Dal bagno alla cucina il passo è breve. Nobuya porta in tavola una cucina di elevatissimo livello, che io definirei a pieno titolo giapponese, anche se lo chef di Tokyo classe 1973 ha una storia che lo conduce a un crocevia tra la cultura gastronomica nipponica e quella italiana. Egli infatti ha lavorato alla Madonnina del Pescatore di quel geniaccio ossessionato di Moreno Cedroni, al Don Carlos di Milano, poi in alcuni dei più conosciuti ristoranti nipponici del capoluogo lombardo, al Nobu Armani e al Sushi B, un locale nel quartiere di Brera che qualche anno fa era un benchmark per qualità ed eleganza.

Lo chef Niimori Nobuya con la sua brigata

Crocevia di due culture

Oggi Nobuya ha un suo locale in via San Nicolao numero 3a, una viuzza curva che si divincola tra Magenta e Cadorna, ha aperto a fine novembre e già ora – a un paio di mesi di distanza dal battesimo - posso affermare senza esitazione che si tratta di uno dei cinque migliori ristoranti giapponesi in Italia, pronto a rimpolpare la assai smilza schiera degli “etnici” (passatemi questo aggettivo ormai desueto) stellati, al netto di qualsiasi scaramanzia. E chissà che il prossimo novembre qualcuno si ricordi di questa modesta profezia. La cucina di Nobuya è espressiva, profonda, si svincola evidentemente dalla frequente tendenza della nippo-nomia a certe asetticità, a quell’eleganza stilizzata e statica che è diventata il benchmark della cucina del Sol Levante da noi (chi poi ha visitato il Giappone sa che lì la cucina è tutt’altra cosa). No. Qui c’è la profonda cultura di uno chef che, al “turning point” del mezzo secolo, vuole finalmente mettere a frutto le sue esperienze e la sua visione del mondo, una sorta di retrospettiva di mezza età che faccia non solo un punto ma diventi una passerella verso un futuro libero e consapevole.

Il sashimi di Nobuya

I vegetali di Planet FarmDue i menu, entrambi omakase, e quindi un “famose a fida’” alla giapponese: otto portate a 120 euro e sei proposte vegetariane a 100, che punta forte sui prodotti da agricoltura verticale di Planet Farm. La carta al primo sguardo appare classica ma cela poi nello svolgersi dei singoli episodi una fantasia e un pensiero laterale davvero notevoli. Ricchissima la lista dei crudi (ostriche, gambero rosso, king crab, scampo), tutti da una materia prima sublime: io ho provato un Carpaccio di capasanta di Hokkaido, gambero viola, caviale, olio al plancton e aria di yuzu e il Sashimi di salmone scozzese, gambero rosso, ricciola, ventresca di tonno. Resta su qyei livelli l’anguilla Kabayaki servita su una base di riso, di asciuttezza spiritualità.

Quindi la Triglia con olio shiso, foglia di soia tagliata sottilissima e maionese di erba cipollina. I dolci sono preparati (e presentati) dalla affascinante Mina Karimi, che arriva dall’Iran e mi prepara un gelato al cassis, prato di biscotto, spugna al latte di soia e cacao amaro, sbriciolato di mandorle speziate e della polvere di shiso rosso e coriandolo e il Milky Way, riso giapponese cotto nel latte di mandorla, un sorbetto arancia amara e izukoshi e una spuma al latte di cocco e dei cracker fatti con yogurt di soia e polvere di kinako, ovvero soia tostata.

La sala di Nobuya

Legno e porfido

Il locale, aperto dallo stesso Nobuya e dall’imprenditore varesino Andrea Lin, è concepito con grande eleganza e cura dei dettagli. Un luogo materico, dominato dal calore pacato del legno e dal porfido. La sala principale è dominata da un lampadario di Murano composto da 270 pezzi e guarda la cucina, ma restano dettagli del passato, come le travi a vista del soffitto. In sala Marco Scarpulla, che punta su uno storytelling limitato e sulla sua innata eleganza. In carta tante bollicine nobili, etichette convenzionali e “irregolari” e molti sake (che “aumenteranno”, come ci dice Scarpulla). Anche distillati, birre e una carta dei tè.

Nobuya, via San Nicolao 3a, tel. 3318088558. Aperto solo la sera, chiuso la domenica

Lo chef Oldani apre un nuovo ristorante di fronte al suo D'O. Si chiamerà Olmo

7 Nov 2023, 18:18 | a cura di
Lo chef di Cornaredo posta su Instagram una frase poetica e tre immagini del cantiere. Il locale sarà sulla stessa piazza del D’O e dovrebbe avere una forte vocazione green. Ma dovremo aspettare un mese per saperne qualcosa in più

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Si chiamerà Olmo. E tirerà su la serranda entro fine anno, probabilmente agli inizi di dicembre. Si sa solo questo della nuova apertura di Davide Oldani, lo chef bistellato di D’O a Cornaredo, uno degli chef più avanguardisti e rinascimentali d’Italia, a cui il Gambero Rosso ha assegnato Tre Forchette con la guida Ristoranti d'Italia 2024. La novità è stata annunciata dallo stesso chef sul suo profilo Instagram con queste parole: “OLMO… perché è l’albero della piazzetta che abbiamo tanto a cuore e che ospita il D’O… perché è un albero molto longevo e ha radici robuste, ben piantate a terra e si sviluppa verso l’alto. Tutto coincide con uno dei nostri pensieri più forti… Terra su cui mettere i piedi e non solo cielo dove mettere i sogni! Terra, radici e via verso l’alto. Era un mio sogno condiviso e ora esiste. E’ un nuovo “luogo” dove saranno gli ospiti a decidere come definirlo”.

La stessa piazza

Ero a metà di luglio al D’O e in quell’occasione Oldani mi ha mostrato i lavori in corso in dei locali da lui rilevato che si trovano proprio di fronte al ristorante, sulla stessa piazza che l’allievo di Marchesi ha contribuito a restaurare, piazza della Chiesa, nella frazione di San Pietro all’Olmo del comune dell’hinterland milanese. Quel caldo venerdì di transenne e operai guardati dall’altra parte del vetro, Oldani mi fece capire che era un progetto a cui teneva molto e che sarebbe stata una vera sorpresa, ma non volle dirmi di più. E non ha voluto dire di più nemmeno ieri quando l’ho chiamato: “E’ una questione di rispetto per i sacrifici che abbiamo fatto per quel posto, non ha senso raccontarlo male, a pezzi, senza averlo visto. Presto saprete tutto”. Faccio un passo indietro.

Indizi social

Restano le suggestioni, le intuizioni. E i tre scatti postati in accompagnamento al messaggio: nel primo si vede un operaio con un martello sistemare l’insegna, la parola OLMO, in stampatello, in un font senza grazie, le fronde sopra, le radici sotto; il secondo è un piccolo video in bianco e nero nel quale si vedono alcuni operai lavorare in un cortile, tra nastro adesivo e secchi di vernice; la terza è una foto più chiara del bel logo, con la seconda O di OLMO con un’altra O inscritta, come a citare l’iniziale di Oldani e il D’O. Nella terza foto ci sono vari hashtag, tra i quali quello progetto_olmo parla chiaramente di “sostenibilità”, di “rispetto per il cibo”, di “maestri che guidano le nuove generazioni”. Abbastanza per pensare a un progetto a forte trazione green. Di sicuro, conoscendo Davide, sarà qualcosa che farà parlare.